Ci capita in diverse occasioni e con tante attività, di aver bisogno di un tempo per capire come fare e di raggiungere il momento in cui, semplicemente, sappiamo come si fa.
E quando questo momento arriva ci muoviamo con più leggerezza, se quella che svolgiamo è un’attività fisica, individuiamo velocemente due colori che stiano bene insieme, se il nostro lavoro è creativo o artistico, comprendiamo da un gesto il sentimento della persona che abbiamo di fronte, se quello che facciamo ha a che fare con lo studio della personalità e delle relazioni.
Mi sono spinta un po’ in là, ma questo è esattamente quello che succede anche con la Mindfulness.
Ci sono alcune tecniche che è necessario imparare, ma l’obiettivo non è continuare a praticare la tecnica. L’obiettivo delle “pratiche formali” della Mindfulness (come il Body Scan, la meditazione seduta o quella camminata, ecc.) è imparare a mantenere lo stato di consapevolezza e di presenza in tutti quei momenti che la tecnica non ha potuto insegnarci, perché fanno parte delle nostre vite individuali, diverse da tutte le altre.
Ricordate il post sui piatti di Tich Nhat Hanh, di qualche giorno fa? Il maestro sosteneva che il gesto di lavare i piatti non ”può” essere noioso, se lo si riempie di attenzione: nei confronti dell’acqua calda che scorre, o della schiuma soffice sulle mani, per esempio.
Questo deve essere il nostro obiettivo: praticare fuori dalla pratica, essere la pratica. Lo si può raggiungere solo dopo aver imparato e sperimentato in lungo e in largo la tecnica, però ricordate una cosa: quando vi renderete conto per la prima volta che state praticando la consapevolezza in un momento “non richiesto” dalla pratica formale… sarete solo all’inizio del viaggio! Allora sì che vi aspetterà la parte più bello, e il vostro obiettivo si trasformerà di nuovo in un compagno di avventura con il quale partire per altre mille destinazioni!
